domenica 4 marzo 2012

Douz (Tunisia). 100 km. del Sahara. 14^ Ediz., dal 4 al 10 marzo 2012.

Si è svolta nel giro di 4 giorni la 100 km. del Sahara organizzata dalla Zito Way con la partecipazione di 134 atleti di cui la maggior parte italiani (84). Tra i presenti anche 2 atleti sardi, Rossano Loi (M55, Olympia Villacidro) e Tullio Frau (M55, A.S.D.A.O. Cagliari).
Mentre Rossano vive a Villacidro, Tullio è nato a Gonnoscodina ma è emigrato da tempo a Pordenone, anche se si sente a tutti gli effetti sardo. La gara del Sahara è una delle più difficili imprese che un’atleta può sperimentare ma sicuramente tutto diventa ancora più complicato quando lo stesso atleta è totalmente non vedente. E’ il caso di Tullio. Ho avuto modo di allenarmi con lui nei primi giorni dell'’anno e mi aveva parlato di questa difficile gara informandomi delle difficoltà in cui si sarebbe trovato. Vediamo in sintesi come è organizzata la gara con le informazioni tratte dal sito “100 km. del Sahara”. Innanzitutto si svolge nel deserto della Tunisia (sud-occidentale) ed è divisa in 5 tappe. Il percorso complessivo parte da Ksar Ghilane, in pieno deserto sahariano e l’arrivo si trova a Douz. Gli atleti sono impegnati complessivamente 7 giorni. Il 1° giorno (4 marzo) è quello del viaggio dall'Italia a Djerba. Nel 2° giorno avviene il trasferimento da Djerba al punto di partenza (300 km.). Il 3° giorno (6 marzo) è quello della prima tappa della gara, 23 km. Il 4° giorno (7 marzo) prevede una doppia prova, una di mattina di 16 km. e una notturna di 7 km. Il 5° giorno (8 marzo) è la gara più lunga, 42 km. Il 6° giorno (9 marzo) tappa finale di 23 km. Il 7° giorno (10 marzo) viaggio di ritorno in Italia. Complessivamente sono 111 km. Tullio ha percorso tutte le tappe con il compagno Claudio Bernardo ed è arrivato 118° assoluto con un tempo complessivo di 15:37’15”. Rossano è arrivato 20° in 10:20’46”. Mentre Tullio ed il suo compagno Claudio hanno concluso la maratona in 6:55’28” Rossano ha portato a termine la sua 42 km. in 4:15’34”. Tantissime sono state le difficoltà che hanno dovuto affrontare gli atleti, tra l’altro tutti già preparati e consapevoli dei pericoli possibili. Correre sulla sabbia morbida seguendo una pista off-road ma soprattutto le condizioni atmosferiche del tutto imprevedibili dove il caldo ed il vento la fanno da padroni rende tutta l’impresa affascinante ma certamente dura. Naturalmente è richiesta ai partecipanti un minimo di preparazione tecnica e di adattamento che vanno ben al di sopra la semplice capacità di concludere una maratona. L’obiettivo comune che lega tutti i partecipanti alla manifestazione è quello di portare a termine tutte le tappe dei percorso ed in ciò gli organizzatori si sono adeguatamente premuniti seguendo gli spostamenti di tutti i partecipanti ed intervenendo nei casi limite. Ogni concorrente è munito di zainetto contenente almeno 1 lt. d’acqua più un “kit survival” contenente sali minerali, telo di sopravvivenza, fischietto, accendino luce chimica oltre al capellino , occhiali da sole, creme solari, coltellino e cerotti. Il tracciato è interamente segnalato dagli organizzatori onde evitare problemi di orientamento. Le temperature diurne arrivano intorno ai 35° mentre le notturne si assestano tra i 4 e 12°, ma possono anche andare sotto zero. E’ successo infatti che la notte precedente alla maratona la temperatura è scesa a -4°.  Nelle tre notti di attraversata nel deserto gli atleti hanno dormito in tendoni berberi da 6 persone muniti di docce da campo e tutto l’accampamento giorno dopo giorno veniva montato e smontato dagli organizzatori in base allo svolgimento delle tappe. Il vincitore di tutta la manifestazione è stato il tedesco Thomas Wittek con il tempo di 8:37’01” (3:30’36” nella maratona). Thomas ha accumulato un discreto vantaggio nelle prime tre tappe sul rivale spagnolo Juan Antonio Alegre, vincitore delle ultime 2 tappe. Il tempo totale di Juan Antonio è stato di 8:44’25”. Al terzo posto l’italiano Massimo Camozzi con un totale di 8:47’40” ma decisamente attardato nella prova della maratona (3:36’45”). La prima delle donne è stata l’italiana Alice Modigliani arrivata 18^ assoluta con il tempo totale di 10:16’50” e  con un tempo sulla maratona di 4:09’32” (12° posto assoluto). Sicuramente Tullio è il primo atleta al mondo, privo totalmente della vista, ad aver affrontato nel deserto del Sahara una attraversata così lunga. Una equipe di medici del CNR di Pisa ha condotto uno studio sugli atleti per capire quanto questi sforzi possano causare un danno a livello cardiaco, polmonare e cerebrale in gare così estreme, seppure a carattere transitorio. Nella doppia tappa del 7 marzo si è percorso un tragitto in notturna, con partenza alle 21,30. Il giro in tondo di 7 km. è avvenuto in presenza della luna piena che parzialmente illuminava il percorso mentre tutti gli atleti erano muniti di luci frontali. Tra le 5 tappe portate a termine sicuramente l’ultima ha “provato” le capacità di resistenza e di tenacia di tutti gli atleti. Un freddo intenso provocato da forti raffiche di vento dal nord e da una pioggia insistente ha tormentato gli atleti negli ultimi 23 km. Tra l’altro proprio l’ultimo tragitto era particolarmente aspro e difficoltoso, ricco di altissime dune da attraversare, come se ci fosse un ulteriore necessità di misurare le forze degli atleti. Finalmente tutti gli atleti arrivano al traguardo. I festeggiamenti si sprecano e tutti hanno ancora l’adrenalina a 1000 per sentire la stanchezza. Tullio e Rossano hanno onorato alla grande la nostra terra e hanno dimostrato che per fare certe imprese occorre un forte carattere. Loro ne hanno da vendere.

In foto Claudio Bernardo e Tullio Frau (56). Foto Cottone-Benini.


SAHARA: UN SOGNO DI SABBIA (di Tullio Frau).

È notte, tutti dormono, faccio fatica a chiudere gli occhi, sento ancora nelle orecchie il vento che mi sferza sul viso lasciandomi addosso uno strato di sabbia. Come si fa a dormire, nel pullman che ci porta verso l’oasi di Ksar Ghilane dove è posto il primo campo base della nostra spedizione?
Fa caldo, il mezzo avanza con fatica su per la salita, dopo qualche ora di strada ci fermiamo per una breve sosta, un caffè o un tè e poi via verso la meta. Nell’oasi le palme scricchiolano sotto la furia del vento, il sole fa capolino tra le nuvole, speriamo che per domani il tempo sia migliore, ma che importa? Tanto noi dobbiamo correre! Il gruppo è allegro, le varie lingue dei concorrenti si mescolano, chi conosce l’inglese può dialogare con tutti. Per fortuna Claudio mi fa da interprete, in questo modo ho avuto il piacere di conoscere atleti di altri paesi. Durante la notte nella capanna si fa fatica a dormire, qualcuno russa, il vento sembra ci parli e ci racconti storie dal sapore antico. Un cane ulula in lontananza. Finalmente è ora di alzarsi: colazione e poi tutto nel borsone, ormai siamo pronti per la partenza della prima tappa di 23 km (Ksar Ghilane – Camp Bibane).
L’altoparlante chiama gli atleti a raccolta, si fa la spunta dei pettorali, tutti pronti al via. Un vento impetuoso ci accoglie: “è il saluto del deserto”, ci dice Adriano (ZITO). Via, via tutti verso le prime dune che ci accolgono, sembra ci aspettino lì da sempre, sono morbide, su e giù, una dopo l’altra. Forse le ho sottovalutate, ho il fiatone, non riesco a carburare… Ma sì, non è uno scherzo, su e giù, sono massacranti, ma dopo qualche km troviamo un po’ di pista più corribile, finalmente un po’ di relax. Claudio, come al solito al mio fianco, è la guida ideale, mi incoraggia, mi anticipa le salite e le discese, posso correre in completa libertà, in qualche frangente mi lascia pure senza cordino. È una sensazione incredibile poter correre in un ambiente incontaminato sia da agenti atmosferici che da barriere architettoniche: al massimo cadi sulla sabbia (non è mai successo), ma non ti fai male.
Ormai i più veloci ci hanno superato, dietro abbiamo circa una quindicina di concorrenti, il gruppo si è sgranato, i mezzi di supporto ci affiancano e ci controllano da lontano,  i fotografi e i giornalisti al seguito ci salutano al loro passaggio. Incontriamo due somarelli selvatici che ci guardano con occhi strani, ma la nostra corsa continua costante verso altre dune e altri terreni diversi. Il cuore è gonfio di emozioni indescrivibili, qui, in questo mare di sabbia, dove l’orizzonte si perde lontano sfuggendo agli occhi , qui, in questi spazi immensi che Dio ci ha lasciato, dove soffia un vento che ci porta storie antiche, storie di popoli che qui hanno transitato per andare a cercare qualcosa per sopravvivere. Noi stiamo invece correndo, lasciandoci alle spalle tutti i problemi della vita quotidiana. Sì, sembra quasi che il deserto sia un filtro che trattiene i cattivi pensieri e ti consente di vivere in positivo.
La voce di Claudio mi riporta alla realtà: “dai, Tullio, ancora qualche duna e ci siamo, le bandiere dell’accampamento, ci siamo”. La sua voce è rassicurante, ecco in fondo l’altoparlante che ci annuncia l’arrivo, ecco il traguardo. Tutti si stringono attorno a noi, la prima tappa è finita.
Ci avviamo verso la tenda berbera… be, tenda? Direi un riparo molto precario, un telo di juta che si regge a stento su quattro rami di legno mezzi storti, con delle corde che fanno da tiranti..…anche questa è avventura! Dopo pranzo ci mettiamo sotto a riposare, il vento rinforza, qualche goccia di pioggia incomincia a cadere, ma il peggio arriva durante la notte. Il vento infuria, la tenda ondeggia paurosamente, Claudio e Caio si alzano per stabilizzare la copertura, ma dopo poco arriva un colpo di vento molto più forte: la tenda cede e ci crolla addosso. Ormai qualcuno si è addormentato nonostante il peso della tenda, qualcun altro ha abbandonato il gruppo e si è rifugiato nel tendone-mensa. Io esco dal sacco a pelo, la sollevo con un bastone e per tutta la notte respiro la sabbia che il vento continua a portarci addosso. Per qualche istante ho paura, un senso di soffocamento: il panico per un po’ si è impadronito di me. Mi faccio coraggio, mi alzo e tutto torna alla normalità, tranne il vento e la pioggia che continuano  imperterriti. Finalmente è l’alba, via, ci si veste dentro il sacco a pelo, si sbatte come meglio si può tutto dalla sabbia e si richiude il borsone. Dopo colazione eccoci pronti per la seconda tappa, per fortuna solo 16 km, una tappa leggera (Camp Bibane – Bir el Ghif). Il tempo è clemente, il vento si è affievolito e il percorso non è molto sabbioso. Il pomeriggio lo trascorriamo dentro il sacco a pelo. Fa freddo: siamo in Africa o in Groenlandia? Mah, forse ci siamo sbagliati! Una fragorosa risata comune. Dopo cena eccoci pronti per la tappa notturna 7 km.. Bisogna coprirsi bene, il cielo è limpido e le stelle sembra si possano toccare con le mani. Claudio, se chiudi gli occhi e alzi lo sguardo, vedrai ciò che vedo io, la profondità dell’universo, tutto quello che a occhi aperti non potrai mai vedere. Sì, il cielo è un manto che ci avvolge e ci protegge, e questa notte ci accompagna in una corsa breve ma intensa di significato. Una lunga scia luminosa attraversa questa notte il deserto: sono le flaschlight che ogni atleta ha appeso allo zainetto, tutte colorate. Siamo tutti  in fila indiana, tutti con il cuore che batte a mille per la gioia di essere lì ha fare qualcosa che non è sicuramente da tutti, ma che solo 150 pazzi scatenati possono concedersi di fare, sì, oltre 100 km nel deserto del Sahara. Alle 23, dopo la corsa notturna, tutti alla spaghettata, poi a nanna. Domani ci aspettano gli oltre 42 km della terza tappa maratona (Bir el Ghif – Bir Lectaya).
La seconda notte sotto la tenda beduina è trascorsa abbastanza bene, nessuno più si lamenta del russare di qualcuno, ormai la stanchezza è più forte del russare. Al mattino via in piedi, la borsa è chiusa, tutto è pronto per il via, si parte. “Dai, Tullio, con calma, oggi è lunga!” la voce di Claudio è sempre molto rassicurante, riesce sempre a darmi la tranquillità necessaria: non è solo una guida, è ormai per me un fratello, un angelo, con lui potrei scalare qualsiasi montagna senza problemi. “Via, andiamo! Dai su, dai giù, attento, alza bene i piedi, dai, non ti distrarre! Attento, c’è una buca! Via andiamo!” Chilometro dopo chilometro eccoci al primo ristoro, tutti ci salutano da lontano, siamo ormai al diciottesimo km, una bella mangiata di datteri. Riempiamo lo zainetto d’acqua e via, ma dopo il secondo ristoro posto al trentatreesimo km, incominciano i problemi: il piede sinistro è molto dolorante, credo di avere un po’ di vesciche, su e giù per le dune: sassi sabbia, di tutto un po’, ma gli ultimi km sono costretto a camminare, una vera tortura!
Finalmente è finita, il campo base ci accoglie festoso, tutti intorno a noi: “grandi! Bravi!” Via tutti a mangiare, poi in infermeria, la mano leggera della dottoressa mette fine ai miei problemi. “Domani correrai bene, vedrai!” “Sì, grazie infinite, domani vorrei terminare in bellezza”.
La terza notte sotto quella sottospecie di tenda trascorre veloce, ormai la stanchezza si è impadronita di noi, nessuno più ha il coraggio di lamentarsi. “Dai, ancora 23 km e ci siamo, al traguardo di Douz ci aspetta la doccia”. Tutti pronti, il freddo è ancora più pesante, ci ripariamo sotto il tendone della mensa, un colpo di vento ce lo porta via. Piove a dirotto, sembrerebbe che il deserto ci voglia tenere li, ma noi imperterriti sfidiamo le avversità del meteo. Tutti pronti, si parte, un vento contrario ci accompagna durante tutto il percorso, soffia veramente forte, probabilmente a una velocità intorno agli 80 km orari. Si fa veramente fatica ad andare avanti, la pioggia mista a sabbia ci mitraglia il viso. Potrei mettere la maschera. No, voglio che il deserto mi accarezzi il viso, voglio respirare l’immensità di questa meraviglia, voglio riempirmi l’anima di eternità, sì, nel deserto si respira eternità.  Ecco il primo ristoro, una fettina di arancia e via. Dai, il vento ce la sta mettendo tutta per impedirci di andare avanti, ma noi non ci arrendiamo, noi continuiamo imperterriti nella nostra corsa. Ecco le dune, queste sono molto più alte delle altre. Su, dai su, su, e poi via una lunga discesa, giù, e poi ancora su e giù per chilometri e chilometri, ma all’orizzonte non si vede ancora nulla. Un turbinio di acqua e sabbia, l’orizzonte si confonde con le dune, tutto intorno l’eternità, un mondo affascinante che si è impossessato di noi: lo respiro a fondo, lo metabolizzo, ogni tanto mi devo soffiare il naso, è pieno di sabbia. No, la maschera no, questo è il saluto del deserto, è il ricordo che porterò per sempre dentro di me. Ecco, vedo in fondo le palme, Claudio mi annuncia che forse ci siamo, quasi non vorrei mai arrivare, vorrebbe dire rompere un incantesimo… Ma no, in lontananza la vegetazione, è il segnale che le dune sono finite, ecco in lontananza la porta del deserto, un urlo esce dal cuore di Claudio: “Tullio, ci siamo”! Stiamo per portare a termine una grande impresa, con queste condizioni climatiche: le gambe volano, l’entusiasmo è alle stelle. Sopra la porta alcuni spettatori ci salutano festosi. Eccoci sull’asfalto, ancora un km e ci siamo, la velocità aumenta, ancora 100 metri… “Vai Tullio, sei libero”! Claudio mi molla il cordino e a braccia alzate, urlando di gioia taglio il traguardo tra le braccia di Claudio e di tutti quelli che ci aspettavano. Le lacrime di gioia scendono dal viso incrostato di sabbia, l’emozione è palpabile. Sì, tutti piangono di gioia nell’abbracciarci, Adriano (ZITO) si stringe a noi, ecco la splendida medaglia al collo e la maglia di finisher: “Ve la siete meritata proprio tutta”!
Grazie Claudio, mi stringo a lui, senza di te non avrei potuto portare a termine questa impresa, te ne sono grato. La voce è rotta dall’emozione, l’ingresso nell’hotel è trionfale, tutti vogliono fare una foto con noi, sembrerebbe che fossimo dei campioni, è difficile prender sonno in questi frangenti, mi giro e mi rigiro nel letto, poi allungo una mano sul comodino, accarezzo il vasetto che ho riempito di quella sabbia che ho respirato nel deserto, mi da un senso di serenità, ora posso dormire sereno. Grazie veramente di cuore a tutti.
Tullio FRAU

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